Il marchio è essenzialmente un segno distintivo e, come tale, deve consentire al pubblico di riconoscere con facilità i prodotti o i servizi provenienti da un certo imprenditore e di selezionare, così, tra i molti prodotti similari, quello ritenuto comparativamente migliore per qualità. La funzione distintiva è ulteriormente confermata dal fatto che la tutela del marchio opera solo quando l’adozione del marchio o di un segno ad esso simile da parte di un terzo, per prodotti o servizi affini, possa provocare un rischio di confusione per il pubblico. Questa sarà tanto più probabile quanto più vicini tra loro saranno i prodotti o servizi contrassegnati. La capacità distintiva svolge due funzioni parallele e analogamente importanti. Da un lato, infatti, è posta a presidio della funzione principale del marchio (senza di essa non si potrebbe neppure parlare di segno distintivo); dall’altro è vista come limite alla possibilità da parte degli attori del mercato, di appropriarsi di segni generici, così escludendo i concorrenti dalla possibilità di poterli utilizzare. Il codice di proprietà industriale, all’art.13, stabilisce che non possono essere registrati come marchi “
i segni privi di carattere distintivo e in particolare quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono”, proseguendo poi con una esemplificazione di casi quali “
i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la quantità, la qualità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio o altre caratteristiche del prodotto o servizio”. Di cruciale importanza è l’avverbio “esclusivamente” utilizzato dal legislatore. Esso vale infatti a vietare la registrazione dei segni che non siano altro se non nomi generici o indicazioni descrittive, mentre consente, seppur implicitamente, che un segno generico o descrittivo, facendo parte di un marchio composto anche da elementi distintivi, possa ottenere protezione. La protezione però potrà essere fatta valere su quelle caratteristiche distintive del segno che lo differenziano dai segni generici o descrittivi in esso inclusi. Un marchio quindi potrà essere composto da elementi descrittivi, che rimandino cioè a quelle indicazioni che la legge ritiene non registrabili, ma per essere valido dovrà differenziarsene in modo più o meno evidente. Ad esempio, il semplice marchio “mela” per contraddistinguere delle mele sarebbe certamente nullo per assenza di carattere distintivo (indica infatti la specie alla quale il bene su cui è apposto appartiene), mentre potrà essere considerato valido il marchio “Melinda”, sempre in abbinamento alle mele, il quale, pur rimandando al prodotto su cui viene apposto, lo distingue dagli altri della stessa specie. Analizzando i tipi di espressioni o parole che non possono essere registrate come marchio, scopriamo:
- Le denominazioni generiche del prodotto o servizio, cioè i nomi comuni di prodotti, quelli che identificano la categoria di prodotti o servizi. Ad esempio, il nome “pane” non può fungere da marchio per il prodotto pane.
- Le indicazioni descrittive del prodotto (o del servizio) o delle sue qualità, cioè quelle espressioni che richiamano le caratteristiche e le prestazioni del prodotto o del servizio (per esempio, l’espressione “brillo” per contrassegnare prodotti lucidanti). In questo contesto si inserisce l’indicazione sulla provenienza geografica del prodotto che, tranne nel caso in cui venga adottata in termini di pura fantasia, ha significato descrittivo della qualità del prodotto (specie se agricolo).
Il requisito dell’originalità, quindi, è rispettato quando si utilizzano o segni dotati di un significato che nulla ha a che fare col prodotto da contraddistinguere, o segni addirittura privi di per sé di valore semantico (nomi di fantasia). In questo caso si parla di marchio “forte”, cioè del marchio che non rivela nulla del tipo di prodotto che contraddistingue.